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domenica 13 ottobre 2013

Marilena Valenti - inediti

Marilena Valenti sceglie la via più difficile in poesia, quella del magnifico, dello stupore. Se davvero possiamo trovare ancora oggi tracce di un lirismo antico e di un'epica delle emozioni, di certo lo gustiamo nei suoi versi.
Penso alla luminosa Mariangela Gualtieri, o alla tenebrosa Patrizia Cavalli, o ai magnificat di Cristina Annino. Ecco, Valenti s'innesta perfettamente in questa dimensione oracolare che recupera e conserva quel certo approccio alla parola-pensiero considerata come una rivelazione.
Valenti oscilla spesso, fra prosa poetica e verso, nella ricerca vertiginosa del dettaglio: una declinazione di meraviglioso cristiano si potrebbe dire, o meglio "magico cristiano" (per osare un po'). La stessa onda che aprì le porte a tutta un'eroica stagione ottocentesca, può portarci ancora molto lontano se impariamo a navigarla. In un certo verso, Valenti naviga quella stessa onda.
Ne ameremo ancora – sono sicuro – il gusto del sacro e dell'antico, i movimenti veloci di scoiattolo, gli incisi furbissimi, le chiuse che tentano il volo. Ne ameremo, anche – se eviterà un certo manierismo d'abitudine – tutte quelle forme che si concentrano sulla dinamica del ritmo e non tanto sul potenziamento del senso. Ché, a ben vedere, quelle forme, anch'esse hanno un certo senso.


*  *  *


Padre


Padre, perdonami perché ho peccato:
di tutte le vite che mi hai dato
ho seguito un ghiribizzo di verso.

Le scodelle si svuotano,
si installano parabole
e ho rilegato d’agio
cose deprecabili, umane,
o – peggio – non l’ho fatto.

E tu non dormirai sonni tranquilli,
né sicuri, né comodi,
ma tra tutti i nomadi, al freddo,
io sarò quello che guarda le stelle.


*  *  *



Perdoniamoci


Se i giorni avessero le rughe
mi appenderei al ramo di quercia
del tuo braccio
ad osservare lente e domestiche stagioni,
le inarrestabili avvisaglie di tempesta,
le salvifiche parate di sereno,

al riparo
libagioni di foglie sugli occhi
cenere saggia e sepolcrale
sparsa sul verde
a colmare la clessidra degli sguardi
rovesciata, altrimenti,
infranta, come il resto,
da un bocciolo sceso presto.

Ma, caro, in questa vita di porcellana
scegliamo all’innesto un giorno
che non sia domani
ed un suono che non somigli
ad un tintinnio di sonagli
o ad un ronzio di pensieri lontani.

Perdona lo scoiattolo
al mattino tra le fronde
se il sole squarcia i drappi
sul tuo sonno.



*  *  *

Quando immergono le stelle


E ti ho sorpreso all’alba della notte
accarezzato in capo da una stella,
la luce della luna ci dipinge nuovi:

da lì che mi adagiai dietro la siepe
del colle non scrutando che pendici,
ho sciolto dietro un tronco gli artifici
molli fiammiferi e aridi di fiamma
nascosti con astuzia banalissima
tra il ferretto e il rivolo costretto
di carne in sospensione.

Aleggia sui i seni l’angoscia
quando immergono le stelle,
restano alte tutte le paure.



*  *  *

Mi servirà


Mi sciupo come cosa mai pensata,
come foglia che col freddo non si aggrappa,
come nube
lentamente
torno acqua.

Tra i pezzi di carta fatti a pezzi è sopravvissuta qualche parola. La trovo e la afferro.
La trovo ed afferro che sono sopravvissuta anche io,
ai giorni bui, alle parole dure, alle mille paure, ai risentimenti, ai ripensamenti,
a tutti i miei personali tormenti.
– Me ne dovrò ricordare... – mi dico, conservando il frammento con cura in un posto che domani avrò già dimenticato – mi servirà.
E in fondo si sa già come andrà.
Non siamo disciplinate formiche, non passiamo le estati a fare provviste di cattivi sentimenti, non conserviamo le piramidi di tutti i nostri peggiori momenti.
Carichiamo sulla schiena solo pesi leggeri e chissà, l’inverno in qualche modo passerà, passerà…


*  *  *



Marilena Valenti scrive sul suo blog, www.quellochenonhodetto.wordpress.com


lunedì 10 settembre 2012

Erminio Alberti ― tre inediti


IL MESSAGGIO



Avrei voluto dirti tutto questo
avrei voluto
di persona
ad un tavolo di un bar, magari in centro;
più in là
fischi di cortei misti,
macchine in colonna,
lontane ormai da noi.
Ricordi?
Ritorni dopo tempo, un fantasma artificiale,
quasi un alibi d’autore (la donna volpe di Montale) –  –

Ed io vorrei comunicare
tutto questo, io vorrei
a te ridare questa fiamma,
questo fuoco primordiale da tenere sempre vivo,
se magari a parole,
coi miei gesti
con gli sguardi […]
riuscirei a comunicarti
tutto questo






(leggi tra le righe
leggi quello che non sta nelle parole;
lascia stare il cameriere,
le tazzine tintinnanti,
i dialoghi dei viandanti;
lascia perdere:
perditi)





*  *  *





Il pianto, il disperare,
per poi tornare all'immenso
nutrirsi di vita — clamore e frastuono

/Clamore e frastuono ovattati
in questo macina-giorni
di stanza imbottita/
Il pianto, il disperare:
è come lanciare un richiamo
da una stanza imbottita
al clamore e frastuono dei giorni.


cammina e si scontra la gente
non ne resta niente
di questo continuo incrociare
destini, causali d'enormi sistemi variabili — —
- eppure, io so che vedendoti
grande assoluto dogma/parola
potremmo tremare tutti
ad ogni contatto di foglia o passo di gatto:

allora il piangere forte
dentro le stanze
verrebbe a formare preghiera,
il canto ancestrale

/e la solitudine benzina forte
a invocazioni disperate/




— Vieni bambino, non c'è la mamma;
ecco per te una grande coperta.
Senti il profumo di latte e biscotti?
Va tutto bene.
Metto un cartone, vuoi Fantasia,
il Re Leone?
Non disperare, ti abituerai.

Ti nutrirai il petto
di sensazioni del mondo.
Amerai il sole, piangerai il mare [...]
 

— ditegli che non è solo, gridate!
se superasse il suono le mura
sarebbe salvo, redento!
Avrebbe spavento, sarebbe un abbraccio
e poi la visione (?)


(Poesia ti chiamano tale
ché scuoti e fai piangere)
si muta il male
in meraviglia di vivere: —



Fu che quand'era bambino,
anche allora era solo.
Solo, anima e corpo:
vera solitudine fatta carne.


Crebbe e conobbe più mondo,
ma era cosa a sé stante,
la casa, il suo és /
le cose di fuori.


Passarono anni e anni
prima che intravedesse
il mondo dai suoi occhi bambini.
Ma cosa vedeva cos'era?


Fu un giorno che scosso
si accorse della meraviglia
                           — commosso —
non fonte di luce
ma vita vissuta
parole gesti persone
— Parola poesia rinvenuta —
in conversazioni di sensazioni
e il filo del comunicare dalle solitudini
fu compagnia.
Tramonti acqua mare
girare
       il mondo
dire donna mia
come a ringraziare Dio
andare via
          tornare
imparare.



Accettare un giorno di morire.




*  *  *





POST APOCALISSE


E ora che la polvere brezza di rovine ci passa
io mi chiedo
di essere più duro, farmi scoglio
e contrastare i marosi
per il mio amore di uomo
sparso in terra, arso in petto
e scritto a penna,
per i rimorsi e le ferite che mi sono ancora linfa,

per poter incalzare il cappello
un giorno,
e girarmi e andare via
da qualcosa.









Erminio Alberti, classe 1987, vive e studia a Catania. Si interessa di musica, cinema e letteratura, e ha realizzato alcuni spettacoli di musica e poesia all'interno di eventi svolti presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Catania. Nel 2012 ha diretto, scritto e interpretato, insieme al collettivo “Band Sans Art”, il cortometraggio “Nel nome del Madre”.
Di prossima pubblicazione la sua prima raccolta di poesie.



lunedì 11 giugno 2012

Maria Pia Quintavalla, un inedito


La piscina


Nel brillio di fiction la piscina
disegna un trapezio minuscolo
celeste q u i davanti al mare
che più dietro asseconda gli s o m i g l i a
dietro al muro la copia,
ma non è più copia dal vero.

È rinato dietro la scaletta,
nascosto un trampolino, e sotto
si sommerge
nel sonno di barche docili che solcano
per caso la tavola del mare
che s’allunga rende il mare

un tema un rigo grigio.



La piscina giocattolo dormiente
sta alla madre
dalle lunghe braccia
ne d i s e g n a un orlo sotto al monte
mentre il cielo là ferma,
 calmo nelle opache nubi
che discendono si addensano
lo sporcano il vulcano.

Restano nubi aperte fulminate,
segnano di bagliori fantasmatici
la volta nel sentiero
riabbracciano lontane madri alle madri,
 onde alle figlie.



In questo frangente scrivo per conoscenza personale: sin dal primo incontro brillava negli occhi di Maria Pia il sentimento materno più di ogni altra cosa. Amore che ha incanalato nei versi in questione come si direziona la forza vitale dell'acqua. La piscina ricorda una ninnananna intonata ai bimbi prima del sonno e, al contempo, il moto ondoso la sera, quando accarezza le rive senza l'urto del nuovo giorno, della nascita. Una nenia nell'andamento, nell'andare accapo e negli spazi tra le lettere di alcune parole: non a caso, somiglia e disegna, voci verbali che marcano la riproduzione imprecisa, la sola che spetti all'uomo. Il quale ha in potenza una duplice possibilità, la procreazione naturale, biologica, o la creazione artistica; opportunità che Maria Pia ha vissuto e accompagnato tra loro nel corso degli anni. 
Il brillio di fiction è ciò che lega alla superficie, lasciando presagire ad un intero fondale da scoprire, la madre - il mare - e la figlia - la piscina - , che non è più copia dal vero. Ma l'acqua è madre una volta ancora nel suo specchiare il cielo, e la realtà che lo attraversa e la circonda, dandole una seconda esistenza,  un'altra chance, anche se illusoria. Forse sta qui la differenza più evidente tra la consolazione dell'arte, della poesia, del corpo stesso del significante, e la carne, il sangue, la materia, in tal caso significato della lirica. Infine il ritorno ciclico ad un'unica origine, nel rimpasto delle nubi aperte fulminate dopo un parto di pioggia e saette, e delle onde che, una volta infrante, tornano da dove sono venute.  

Con l'inedito di Maria Pia Quintavalla la rubrica "inedito zero" si prende una pausa estiva e proporrà altri autori contemporanei a partire da Settembre. Buona estate!

Matteo Bianchi





Maria Pia Quintavalla è nata a Parma e vive a Milano. 
Ha pubblicato: Cantare semplice (Tam Tam Geiger 1984, nota Nadia Campana), Lettere giovani (Campanotto 1990, prefaz. M. Cucchi), Il Cantare (Campanotto 1991 prefaz. Nadia Campana), Le Moradas (Empiria, 1996 prefaz. Giancarlo Majorino), Estranea (canzone) (Piero Manni 2000, introduzione di Andrea Zanzotto), Corpus solum (Archivi del 900, 2002 prefaz. Giampiero Neri), Album feriale ( Rosellina Archinto 2005 prefaz. Franco Loi), Selected poems, (Gradiva, introduzione di Andrea Zanzotto), China (Effigie, 2011). Ha curato antologie: “Donne in poesia/Incontri con le poetesse italiane”, Presid. Comune di Milano 1985, 1988, Campanotto, e su Alfabeta dall’omonimo festival (dal 1985); atti del convegno nazionale “Bambini in rima/La poesia nella scuola dell’obbligo”, su Alfabeta 1987. Presente in antologie della poesia italiana, l’ultima, Trent’anni di Novecento, a cura di Alberto Bertoni, Book 2005.
Vincitrice ai premi: Tropea, Cittadella, Città S.Vito, Alghero Donna, Nosside, Marazza Borgomanero, Violetta di Soragna,Contini Buonacossi, Montano, Alto Jonio; finalista in cinquina al Viareggio nel 2000, finalista 1997 e 2011.
Cura seminari di scrittura presso Lettere, Università degli studi di Milano, Lettere, Università degli studi di Parma; sul testo poetico, presso Archivi del ‘900, libera Università delle donne, Società Umanitaria, Casa della Poesia di Milano.

lunedì 28 maggio 2012

Paolo Ruffilli, un inedito



La parola

Ha filamenti lunghi
la parola,
radiche e barbe nere
che pescano
nell'utero del tempo
tra le melme
di quel limo viscerale
che ha dato
soffio e corpo musicale
alle cose sconosciute
richiamandole così
come fuori da se stesse
dentro il ritmo cadenzato
di quel tutto tuttità
che è strabordante
fuoco liquido eruttato
dentro ognuna
singola entità.



La parola è il nero che tenta infinite volte di colmare il vuoto della pagina bianca, pescando nell'utero fertile del possibile. Il nero che sfuma dietro gli occhi in gradazioni di grigio, la pressione della penna sulla carta, l'arcobaleno di uno schermo televisivo degli anni Sessanta. E' il ruolo del poeta, la conoscenza arrischiata del nulla. La parola supera il vincolo del tempo e il significato dell'oggetto che raffigura, straborda, così una gettata di magma dal cono di un vulcano porta alla superficie - all'improvviso - materia inaspettata e ingestibile, linfa del profondo, che varia a seconda del fiato di chi l'ha pronunciata.

Matteo Bianchi





Paolo Ruffilli, originario di Forlì, vive a Treviso dal 1972. Ha pubblicato diverse raccolte in versi, tra le quali Piccola colazione (Garzanti 1987), Camera oscura (Garzanti 1992), La gioia e il lutto (Marsilio 2001), Le stanze del cielo (Marsilio 2008) e Affari di cuore (Einaudi 2011). Tra le ultime in prosa Preparativi per la partenza (racconti, Marsilio 2003), Un'Altra vita (racconti, Fazi 2010) e l'isola e il sogno (romanzo, Fazi 2011). E' il curatore di edizioni delle Operette morali di Giacomo Leopardi, della traduzione foscoliana del Viaggio sentimentale di Sterne, delle Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo, de L'amante di Lady Chatterley di Lawrence e di una antologia di Scrittori garibaldini. Ha tradotto testi di Gibran, Tagore, i Metafisici inglesi e la Regola celeste del Tao. Ha collaborato alle pagine culturali di numerose riviste e quotidiani nazionali, ed è il direttore della collana poetica delle Edizioni del Leone di Venezia.








venerdì 18 maggio 2012

Maria Grazia Calandrone, un inedito


solo il cuore alla terra (la scimmia-fiore)


1.

tu lo vedi il dolore delle bestie, lo vedi
che piegano la testa sotto il cielo
perché il cielo le veda
senza essere visto

lo vedi l’arco solido
dei tendini e vedi che rimane solo il cuore
parallelo alla terra, un’ampolla di sangue silenzioso che niente
rovescia davvero

vedi le scimmie
fatte azzurre dal sole del mattino
vedi il loro restare
col viso al sole perché il loro minuscolo dio
le perdoni


2.

questo piccolo branco di animali sarebbe prossimo a dio.
si degnerà egli dunque?
di abbassare il suo sguardo
sulla gola scoperta delle bestie

oserà pronunciare una parola? su queste
scimmie che vogliono
stare nella ferita della sua assenza
come nude confezioni di fiori versati su un’ara


3.

il mio corpo è un altare di fango
è l’altare che emana un latrato
ininterrotto

se neanche la fine è infinita io porto il male
dell’amore umano come la rosa porta la corolla
sono la scimmia-fiore



E' la prima volta che leggo una poesia così "argomentata": una forma che cerca di essere il più aderente possibile al contenuto che l'ha ispirata. Una coerenza che libera la voce interiore del poeta.
L'uomo possiede uno sguardo capace di discernere, consapevole del presente delle altre creature viventi; ma che non può scorgere dio, se non intenderlo o percepirne una sfocata ed intima presenza. L'uomo che si è elevato in posizione eretta per avvicinarsi al cielo, cuore perpendicolare alla terra, non più parallelo; che fiorisce e la meraviglia della corolla - segno distintivo della rosa - ne avvolge il capo, quasi fosse l'aureola di un animale che si è risvegliato spiritualmente. Forse. Oppure che non si tratti soltanto di una scimmia-fiore, bella e terrestre, destinata a sfiorire dopo la primavera, dopo aver lasciato i semi, libera da qualsiasi significato.
In particolare quell' "io porto il male / dell'amore umano" mi ha fatto pensare; d'altronde giungendo all'Amore attraverso la passione, al di là dell'amore "abitudinario" o di quello spirituale, che restano le due metà di un'unica soluzione, la radice del sentimento amoroso contiene già in sé la sofferenza. Un retaggio istintivo di cui le bestie, però, non hanno coscienza. Una sorta di male imprescindibile da trasformare, fotosintesi "umana", per raggiungere l'equilibrio.

Matteo Bianchi 



foto di Giancarlo Finardi

Maria Grazia Calandrone (Milano, 1964, vive a Roma): poetessa, drammaturga, performer, organizzatrice culturale, autrice e conduttrice di programmi culturali per RAI Radio 3, critica letteraria per il quotidiano “il manifesto”, cura la rubrica di inediti “Cantiere Poesia” per il mensile internazionale “Poesia”. Libri: Pietra di paragone (Tracce, 1998 – edizione-premio Nuove Scrittrici 1997), La scimmia randagia (Crocetti, 2003 – premio Pasolini Opera Prima), Come per mezzo di una briglia ardente (Atelier, 2005) La macchina responsabile (Crocetti, 2007), Sulla bocca di tutti (Crocetti, 2010 – premio Napoli), Atto di vita nascente (LietoColle, 2010), L'infinito mélo, pseudoromanzo con Vivavox, cd di sue letture dei propri testi (luca sossella, 2011) e La vita chiara (transeuropa, 2011). Sarà in Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi, 2012); scrive testi teatrali per Sonia Bergamasco e ha scritto frammenti poematici intorno alla Guerra Civile Spagnola per la compagnia internazionale "Théatre en vol"; sue sillogi compaiono in antologie e riviste di numerosi Paesi Europei e delle due Americhe: segnaliamo le antologie La realidad en la palabra (Editorial Brujas, 2005), Caminos del agua (Monte Avila Latinoamericanas, 2008) e Antologia italikes poieses (Odós Panós, 2011); ha curato per Adonis, l’antologia Voci della Poesia Italiana Contemporanea: Un’Antologia Breve (L’Altro, 2012 – Beirut e Damasco), nella quale è inserita; dal 1993 viene invitata nei più rilevanti festival nazionali e internazionali; dal 2008 porta in scena in Italia e in Europa il videoconcerto Senza bagaglio (finalista Romaeuropa Webfactory 2009), realizzato con Stefano Savi Scarponi, per il quale interpreta se stessa in I fiori che lei porta; nel 2010 il suo testo My language is the rose, scelto dal compositore malese Chie Tsang, è finalista in “Unique Forms of Continuity in Space” in Melbourne, Australia. Sempre nel 2010 è scelta come rappresentante della poesia italiana e diretta da Lucie Kralova in “Evropa jedna báseň”, documentario per la televisione ceca. Nel 2012 cura l’opera di Anne Sexton per il “Corriere della Sera” e fa parte del progetto RAI TV “UnoMattina Poesia”. La sua poesia è tradotta in: ceco, francese, greco, inglese, iraniano, portoghese, russo, serbo, siriano, spagnolo, svedese e tedesco.






giovedì 10 maggio 2012

Caterina Camporesi, un inedito


uscendo dalle acque dell'ambiguità
s’onora seppellendolo il già perso

in crepe d’onda galleggianti verità
s’affrancano dagli uraganti abissi



Caterina Camporesi con due coppie di distici, endecasillabi mancati volutamente, che non vogliono essere definitivi e non possono essere definiti negli incastri tra verso e verso, rispecchia perfettamente il contenuto fluido della lirica attraverso la sua forma. I primi due preludono alla liberazione dal torbido esistenziale nel rito funebre che onora il passato, il "già perso" prima ancora di essere vissuto, e cioè perduto, destinato a non tornare. Di seguito, invece, la negazione del principio: la verità non esiste, se non nell'instabilità dei frammenti delle onde in superficie, intangibili, di cui è impossibile fermarne il moto, che riportano nel trambusto qualcosa di non misurabile dagli abissi insondabili, dalle profondità dell'uomo. Si ripiega su di sé il risucchio ondoso, un tributo scoraggiato all'aforisma di Hofmannsthal: "Nessuna parte della superficie di una figura può essere creata se non dal nocciolo più interno".

Matteo Bianchi





Caterina Camporesi è nata a Sogliano al Rubicone (FC) nel 1944. Vive tra Rimini, la Garfagnana e Roma. Psicoterapeuta.
Già condirettrice de "La Rocca poesia" e redattrice de "Le Voci della Luna", è socia di "Sinopia" (www.sinopiaonlus.org) e collabora con riviste cartacee e con riviste on-line come: Fili d’aquilone (www.filidaquilone.it), con saggi inerenti i rapporti tra psicoanalisi e creatività e con recensioni. Ha pubblicato: Poesie di una psicologa (Euroforum, Rimini 1982), Sulla porta del tempo (Edizioni del Leone, Spinea-Venezia 1996), Agli strali del silenzio (Edizioni dell'Istituto di Cultura di Napoli 1999), Duende (Marsilio,Venezia 2003), Solchi e Nodi (Fara, Rimini 2008) e Dove il vero si coagula (Raffaelli Editore, Rimini 2011). È presente con Il tenace seduttore nel volume Per Cesare Ruffato (Marsilio, Venezia 2005), con un testo poetico in Folia sine nomine (Marsilio, Venezia 2006) e con testi poetici nelle antologie La coda della Galassia (Fara, Rimini 2005), La linea del Sillaro (Campanotto, Udine 2006), Poesia e Natura (Le Lettere, Firenze 2007), Vicino alle nubi sulla montagna crollata (Campanotto, Udine 2008). E’ presente con i saggi Gratitudine e poesia in Lo spirito della poesia (Fara, Rimini 2008), Profezia, sogno e poesia in Poeti profeti? (Fara, Rimini 2009), Utopia, Creatività, Trasformazione in Salvezza e Impegno (Fara , Rimini 2010), Poesia nella società liquida in Il valore del tempo nella scrittura (Fara, Rimini 2011). Ha curato e tradotto dallo spagnolo due poeti boliviani per le Edizioni Sinopia, L’Attesa di Pablo Gozalves (2007) e con Claudio Cinti, Nel concavo privilegio della dismemoria di Cé Mendizábal (2010).

giovedì 3 maggio 2012

Chiara De Luca, un inedito

                                    
                                      A mio padre

Non fossero di legno le parole
stasera a nutrire l’arsura del sole
se crescere non fosse ammutolire
ti direi a voce bassa d’ogni istante
irrilevante o fuoco dirompente,
di come talvolta ti sia stata grata
nonostante di avermi generata,
dell’irredenta mia maledizione
di non aver saputo mai davvero
guarire il tuo negato amore



Non c'è granché da aggiungere agli endecasillabi tesi, alle parole "legnose" di Chiara De Luca, che cercano di affermare la loro voce, una vibrazione contro il distacco di un tempo a perdere che passa e ci irrigidisce, ci asciuga come fossimo cera che cola sotto la fame di una fiamma esaurirsi in rughe sul volto. Tra gli estremi "irrilevanti" o "dirompenti" di un rapporto che si nega e genera un vuoto ulteriore, oltre ad alleviare, potremmo davvero essere capaci noi di "guarire" una mancanza altrui? 

Matteo Bianchi







Chiara De Luca corre dodici chilometri al giorno, scrive poesia, narrativa, saggistica e per il teatro. Traduce da inglese, francese, tedesco, spagnolo e portoghese. Ha pubblicato con Perdisa la pièce teatrale Duetti, con Fara i romanzi La Collezionista (2005) e La mina (stra)vagante (2006) e i poemetti La notte salva (2008) e Il soffio del silenzio (2009), con Kolibris la raccolta poetica La corolla del ricordo (Kolibris 2009, 2010), edita anche in versione bilingue con traduzione in inglese di Eileen Sullivan (The Corolla of Memory) e l'antologia Animali prima del diluvio. Poesie 2006-2010. Ha pubblicato testi in varie riviste e antologie. Ha tradotto raccolte poetiche di John Barnie, Thomas Beller, Pat Boran, Eva Bourke, Paddy Bushe, Jorge Carrera Andrade, Thomas A. Clark, John F. Deane, Patrick Deeley, Theo Dorgan, Katherine Duffy, Guy Goffette, Ray Givans, Dominique Grandmont, Nigel Jenkins, Thomas Kinsella, Nuno Júdice, Werner Lambersy, Philip McDonagh, Jane McKie, Colette Nys-Mazure, Peggy O’Brien, Sabina Naef, Jean-Claude Tardif, John Powell Ward, Grace Wells, Anna Wigley, Liliane Wouters, Enda Wyley e altri. Si occupa di critica di poesia italiana e straniera su riviste e siti letterari. Ha creato e dirige le Edizioni Kolibris: http://www.edizionikolibris.eu/


mercoledì 25 aprile 2012

Manuel Cohen, un inedito


Voce ancora umana che mi parli non so
da dove
Mario Luzi

con tutta la distanza che c'era e c'è
tra te e me, è incredibile quanto ti ami
e ti abbia sempre amato, Mario Luzi
mio maestro amico padre cercato
sempre, fiume a cui mi sono abbeverato
o, inquieto, rifugiato. non ti ho mai rinnegato
o tradito, né mi sono approfittato
ti penso sempre, ovunque tu sia andato



Ringrazio Manuel per questi versi di cuore dedicati al grande poeta Mario Luzi; versi leggeri e bonari, diretti, senza pretese di apparenza, o finzioni. La lealtà e la sincerità espresse dal contenuto, sono accompagnate da una struttura che sembra non avere il coraggio nemmeno della maiuscola dopo il punto. Lo ringrazio anche per la foto sotto al busto di Torquato Tasso, presente all'interno della sua ultima raccolta Winterreise (CFR, 2011), opera vincitrice dell'ultima edizione del Premio Franco Frontini. Foto che ho inserito nella Galleria del sito dell'Associazione Culturale "Gruppo del Tasso" - http://www.gruppodeltasso.it/

Matteo Bianchi 




Manuel Cohen si occupa di critica e saggistica letteraria. E' redattore, tra le altre, de Il parlar franco, Carte urbinati e Punto.Almanacco della poesia italiana. Dirige la collana "PoEtica" per Dot.Com.Press Edizioni e, insieme a Luca Benassi e Salvatore Ritrovato, la collana "Percorsi" per Puntoacapo Editore. E' curatore di svariati volumi tra cui, insieme a S. Ritrovato, Verso sud (Raffaelli Editore, 2012). In poesia ha pubblicato: Altrove, nel folto, a cura di Dario Bellezza (Ianua, Roma 1990); Cartoline di marca, con prefazione di Massimo Raffaeli e postfazione di Francesco Marotta (Marte Editrice, Colonnella, 2010).

giovedì 19 aprile 2012

Anna Maria Carpi, un inedito


Chi di noi non è stato un Harry Potter
e non credeva
che c'è un io sacro, suo,
trascendentale,
in ascesa, vincente e senza fine?
Fiaba dell'io,
cosa c'è di più grande?

E i maestri dicevano:
«Così giovani e pieni
di qualità! vedrete!»
Forse parlavano
solo perché è bello, così bello parlare.
O freschi guanciali della speranza.

Com'è cambiato il mondo,
un solo annus terribilis gli ultimi dieci anni:
ora è tutto un tacere,
domandi e non ti ascoltano e tu stesso
se ascolti l'altro è alla svelta e per calcolo.
Manca il tempo. Lotta alla cieca
ognuno ormai per sé,
da solo e disperato.



Non posso che volgere in positivo questo “attacco” poetico con Harry Potter di Anna Maria Carpi; infatti, facendo riferimento alla mia esperienza personale, il primo romanzo della saga, che già profumava della grande tradizione letteraria inglese sulla quale si è formata la Rowling, è stato il libro che mi ha salvato dalla sfiducia negli adulti, causata da un problema familiare ai tempi delle scuole medie. Mi sono rifugiato tra quelle pagine e vivevo la narrazione attraverso gli occhiali di Harry, bistrattato e senza genitori. Tutto ciò quando l’autrice non era ancora in auge e Salani – la casa editrice – distribuiva la traduzione a campione nelle scuole italiane per verificarne il grado di apprezzamento. Così mi capitò tra le mani.

Dietro le sbarre dorate dell’adolescenza, quando tutto è ancora in potenza, ci accoccoliamo tra i «freschi guanciali della speranza», e il nostro tempo procede piano, saldo nella sua quieta incertezza. E si proseguirebbe con quel passo, se non ci fosse una scadenza di massima che riduce le possibilità, le brucia e ci invecchia. Il mondo è dei “grandi” e i loro rapporti sono di forza, di convenienza. Il cuore si stempera nella lotta e da soli disperiamo.

Matteo Bianchi



Foto di Alessio Branchini



Anna Maria Carpi è nata a Milano dove ha studiato alla Statale lingue e letterature straniere, tedesco e russo, ed ha poi frequentato l’Accademia di Brera, Carpi è poetessa, scrittrice e docente universitario. Ha esposto a Milano e a Colonia, e al Museo della Caricatura di Tolentino c’è un suo disegno. È stata più volte nella Russia sovietica e post-sovietica e ha vissuto a più riprese a Bonn, viaggi che riecheggiano nella sua poesia. Docente di Germanistica presso le università di Milano, Macerata e Venezia, ha esordito con dei racconti che figurano in numerose riviste, dedicandosi sporadicamente alla poesia poi abbracciata definitivamente dagli anni ‘90. È anche autrice di lavori scientifici e traduttrice di lirica. Collabora a L’indice e alle pagine culturali di Il foglio. Tra i suoi scritti si ricordano le prose Racconto di gioia e di nebbia (Il Saggiatore, Milano 1995), E sarai per sempre giovane (Bollati, Torino 1996), e Il principe scarlatto (Baldini Tartaruga, Milano 2002). Tre le raccolte poetiche invece, Compagni corpi. Tutte le poesie 1992-2002 (Scheiwiller, Milano 2004), E tu fra i due chi sei (Scheiwiller, Milano 2007) e L’asso nella neve. Poesie 1990-2010 (Transeuropa, Massa-Carrara 2011), con cui è stata finalista nel 2011 al Premio Viareggio e ha vinto il Premio Minturnae come “opera prima”. Nel 2005 ha pubblicato per Mondadori Un inquieto batter d’ali. Vita di Heinrich Von Kleist, ed è curatrice insieme a Stefania Sbarra del Meridiano dedicato al poeta tedesco edito a fine 2011.