domenica 25 novembre 2012
Aforismi: la donna, la femmina e tutto il mondo intorno
mercoledì 27 giugno 2012
"Inedito erotico" di Paolo Steffan [giugno 2012]
In queste aree così buie e private, intime, non può dirsi sufficientemente espressiva la lingua ufficiale, che ha dunque il bisogno estremo - qua e là - di farsi intima, solo di chi scrive, il quale è costretto dunque ad avvalersi di forme non ufficiali, come testimonia qui il verbo-chiave «inumidarsi», venuto così, come si viene, e con tutta la rete di intime e meno intime suggestioni che ne possono - a mio modesto parere - venire.
mercoledì 30 maggio 2012
Giorgio Caproni e il XXI secolo, di Jacopo Ricciardi
domenica 11 dicembre 2011
Monologo dell'anima, di Patrizia Garofalo
Erano senza vita invece proprio nell’attimo in cui volevo avessero il nome di chi li aveva donati, avevano dato tutta la linfa che possedevano ed erano finiti dolorosamente estenuati da un’agonia non prevista. Perché nessuno aveva previsto quella morte, ma adesso ricordo bene come ogni volta che li rivedevo immaginavo un cimitero di farfalle .
Appoggio sul muretto la sacca vuota e anche questo pensiero scompare. Mi piacciono da sempre le mura screpolate dei vicoli vecchi di anni, pensieri, impronte e bisbigli. Le parole tornano, innamorate e segrete, complici e impaurite, sbigottite e censurate. Le mie mani bianche avvertono nelle rughe della pietra le stagioni dell’amore e dell’odio, non le percepisco come sentimenti ma ombre di una vita che non mi appartiene più e che sto restituendo piano piano all’indifferenza, forse la vera responsabile dell’orrida votezza dell’anima mia sdraiata nella sacca e dimentica del pur minimo accenno di presenza.
Il corpo invece lo sento, tutto proprio tutto, nessuno lo vede ma è come se lo avessi ingoiato e mi stesse scoppiando dentro. Riesco solo a carezzare i capelli e prendermi la testa, la stringo e l’abbraccio, la riabbraccio come per una ninna nanna ma sente troppo dolore, la cura delle parole non arriva, sento che esse graffiano i muri di una casa di pietra dove ho deposto l’anima e faticano a raggiungermi. Quando arrivano sono esauste, macchiate, inzuppate d’acqua e di sangue.
Scompaiono ogni volta che tentano di parlare, si esauriscono in dolenti suoni come di chitarre scordate, sono abusate, stuprate, violentate e hanno occhi enormi, le parole … tanti occhi e senza accorgermene stringo più forte la mia testa perché non le veda e sciolgo i capelli in modo che coprano il viso. Mi sento più leggera ora e vedo la sacca dell’anima piangere, il corpo mi fa meno male. Infilo le lacrime a guisa di collana e ne faccio una corda più resistente per sollevarmi e riprendere il fagotto del mio corpo che grava come quando un dolore insiste sul petto, anzi più in alto come se mi soffocasse o tagliasse la gola. E mi appare ancora il camposanto di fiori e farfalle dove anch'io riposo.
Scritto dall'autrice per Meredith, il 23 dicembre 2009

martedì 23 agosto 2011
Le parole di un amico lontano

che inesorabilmente cadono
si riflette la frenetica corsa
di uomini che non sanno nuotare.
Mario Cataldo