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domenica 13 ottobre 2013

Marilena Valenti - inediti

Marilena Valenti sceglie la via più difficile in poesia, quella del magnifico, dello stupore. Se davvero possiamo trovare ancora oggi tracce di un lirismo antico e di un'epica delle emozioni, di certo lo gustiamo nei suoi versi.
Penso alla luminosa Mariangela Gualtieri, o alla tenebrosa Patrizia Cavalli, o ai magnificat di Cristina Annino. Ecco, Valenti s'innesta perfettamente in questa dimensione oracolare che recupera e conserva quel certo approccio alla parola-pensiero considerata come una rivelazione.
Valenti oscilla spesso, fra prosa poetica e verso, nella ricerca vertiginosa del dettaglio: una declinazione di meraviglioso cristiano si potrebbe dire, o meglio "magico cristiano" (per osare un po'). La stessa onda che aprì le porte a tutta un'eroica stagione ottocentesca, può portarci ancora molto lontano se impariamo a navigarla. In un certo verso, Valenti naviga quella stessa onda.
Ne ameremo ancora – sono sicuro – il gusto del sacro e dell'antico, i movimenti veloci di scoiattolo, gli incisi furbissimi, le chiuse che tentano il volo. Ne ameremo, anche – se eviterà un certo manierismo d'abitudine – tutte quelle forme che si concentrano sulla dinamica del ritmo e non tanto sul potenziamento del senso. Ché, a ben vedere, quelle forme, anch'esse hanno un certo senso.


*  *  *


Padre


Padre, perdonami perché ho peccato:
di tutte le vite che mi hai dato
ho seguito un ghiribizzo di verso.

Le scodelle si svuotano,
si installano parabole
e ho rilegato d’agio
cose deprecabili, umane,
o – peggio – non l’ho fatto.

E tu non dormirai sonni tranquilli,
né sicuri, né comodi,
ma tra tutti i nomadi, al freddo,
io sarò quello che guarda le stelle.


*  *  *



Perdoniamoci


Se i giorni avessero le rughe
mi appenderei al ramo di quercia
del tuo braccio
ad osservare lente e domestiche stagioni,
le inarrestabili avvisaglie di tempesta,
le salvifiche parate di sereno,

al riparo
libagioni di foglie sugli occhi
cenere saggia e sepolcrale
sparsa sul verde
a colmare la clessidra degli sguardi
rovesciata, altrimenti,
infranta, come il resto,
da un bocciolo sceso presto.

Ma, caro, in questa vita di porcellana
scegliamo all’innesto un giorno
che non sia domani
ed un suono che non somigli
ad un tintinnio di sonagli
o ad un ronzio di pensieri lontani.

Perdona lo scoiattolo
al mattino tra le fronde
se il sole squarcia i drappi
sul tuo sonno.



*  *  *

Quando immergono le stelle


E ti ho sorpreso all’alba della notte
accarezzato in capo da una stella,
la luce della luna ci dipinge nuovi:

da lì che mi adagiai dietro la siepe
del colle non scrutando che pendici,
ho sciolto dietro un tronco gli artifici
molli fiammiferi e aridi di fiamma
nascosti con astuzia banalissima
tra il ferretto e il rivolo costretto
di carne in sospensione.

Aleggia sui i seni l’angoscia
quando immergono le stelle,
restano alte tutte le paure.



*  *  *

Mi servirà


Mi sciupo come cosa mai pensata,
come foglia che col freddo non si aggrappa,
come nube
lentamente
torno acqua.

Tra i pezzi di carta fatti a pezzi è sopravvissuta qualche parola. La trovo e la afferro.
La trovo ed afferro che sono sopravvissuta anche io,
ai giorni bui, alle parole dure, alle mille paure, ai risentimenti, ai ripensamenti,
a tutti i miei personali tormenti.
– Me ne dovrò ricordare... – mi dico, conservando il frammento con cura in un posto che domani avrò già dimenticato – mi servirà.
E in fondo si sa già come andrà.
Non siamo disciplinate formiche, non passiamo le estati a fare provviste di cattivi sentimenti, non conserviamo le piramidi di tutti i nostri peggiori momenti.
Carichiamo sulla schiena solo pesi leggeri e chissà, l’inverno in qualche modo passerà, passerà…


*  *  *



Marilena Valenti scrive sul suo blog, www.quellochenonhodetto.wordpress.com


venerdì 31 maggio 2013

"Malascesa", di Erminio Alberti (Samuele Editore 2013, prefazione di Maria Grazia Calandrone)

Il linguaggio dell’Alberti muta naturalmente nei confronti di una certa qualunquista poesia contemporanea, così da indurre ugualmente chi vi si accosta a pensarla, digerirla attraverso figure del tutto nuove. Non rivoluzionarie. Nuove.
(Marco Strano, da ecologiadelverso.wordpress.com)


Chi ha conosciuto almeno un poco la cultura siciliana la fiuta immediatamente, la riconosce a naso, nella mischia irriverente di canto e morte che intride la poesia di Erminio Alberti. Alto e basso, luce e buio a improvvisi, la malinconia profonda di un popolo che incatena a dei fili la tragedia degli eroi dei poemi epici e li manovra, riproducendo il clangore lustrale delle armi,ma stavolta ficcate nelle mani di legno di piccoli fantocci pieni d’oro e colore, colmi di ogni evidenza eppure sempre segreti.Impossessati dalla tradizione e impossessati della tradizione
(Maria Grazia Calandrone, dalla prefazione)

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lunedì 5 novembre 2012

"Fischi di merlo" di Matteo Bianchi


fonte: criticaletteraria.org, 5 novembre 2012

«La poesia di Matteo Bianchi, nella sua volatile essenza, è sacrale, ma di una sacralità del tutto particolare che la rende alquanto originale e avvincente: sa volare alto quando capace di atterrare, chiedere le ali e camminare. Poesia viandante che cammina nei meandri di una città – la città del poeta – che è la sua culla. Ferrara» – così Roberto Dall'Olio, nella sua prefazione a Fischi di merlo di Matteo Bianchi (Edizioni del Leone 2011) descrive la flâneurie che percorre tutta la raccolta, sullo sfondo di una tensione spirituale.


Fischi di Merlo, di Matteo Bianchi
(Edizioni del Leone 2011)
C'è una grande religiosità, difatti, in questi versi, una religiosità concreta, arcaica direi, che parla dell'anima come di un flatus vocis: «Sento il penso / invisibile / del respiro / uscire dall'anima: / tornerà?». Una religiosità che trova la sua palestra di esercizi spirituali nella dimensione poetica. La poesia aiuta a indagare «il limite disperso» o «quello che sta dietro / le quinte dell'animo / e tira il fiato per noi».

fischi di Bianchi sono in tutto sessanta componimenti divisi in cinque sezioni. Ogni sezione prende il nome da una via di Ferrara, ogni via è uno spazio reale e simbolico, è una tappa verso l'ascensione, da Via Assiderato a Via del Paradiso. Un cammino poetico, lirico e quotidiano, che s'ispira molto liberamente alla triplice ripartizione della Commedia di Dante.
Qui, però, il numero che detta la rotta del viaggio non è il tre, ma il cinque – numero nel quale, simbolicamente, si riflette con più drammaticità tutta la «la dialettica fra sublime e carnale, tra sacralità e dimensione profana, spirito volatile e caduta terrena». Allora, sono elementi questi, così ben individuati da Dall'Olio, che non si ordinano in un sistema tomistico e ben organizzato, ma si miscelano più o meno disordinatamente fra loro, esprimendo tutta la tribolazione di un esperimento alchemico, un sofferto tentativo di ascesi.
Ecco che la realtà, nei fischi di Bianchi, ci si manifesta come grave, oscura: «Codesto solo oggi / riesco a dirti / e macchiato di realtà...». Una realtà sovente messa a fuoco ...in negativo.
Ma non mancano toni liberatori dalla via apofatica di Montale, e in questa poesia sacrale riecheggia più spesso la tradizione di un lirismo petrarchesco – dai termini aulici, e moltissimo insoliti nella poesia attuale – che Matteo Bianchi consegna quasi intatto alla contemporaneità. Un lirismo espresso attraverso i temi della malinconia («fatico a riconoscerti l'anima»), della lontananza («il baule lasciato ansimare, / in stazione, tra polveri care»), e soprattutto della purezza («Essere puri dalla nascita / è uno strascico di seta, / nuotare gli anni / nelle pupille altrui: / non temere i gabbiani, sorridono davvero / di altri mondi / al passaggio sul mare») [...]

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