IL
MESSAGGIO
Avrei
voluto dirti tutto questo
avrei
voluto
di
persona
ad
un tavolo di un bar, magari in centro;
più
in là
fischi
di cortei misti,
macchine
in colonna,
lontane
ormai da noi.
Ricordi?
Ritorni
dopo tempo, un fantasma artificiale,
quasi
un alibi d’autore (la donna volpe di Montale) – –
Ed
io vorrei comunicare
tutto
questo, io vorrei
a
te ridare questa fiamma,
questo
fuoco primordiale da tenere sempre vivo,
se
magari a parole,
coi
miei gesti
con
gli sguardi […]
riuscirei
a
comunicarti
tutto
questo
(leggi
tra le righe
leggi
quello che non sta nelle parole;
lascia
stare il cameriere,
le
tazzine tintinnanti,
i
dialoghi dei viandanti;
lascia
perdere:
perditi)
* * *
Il
pianto, il disperare,
per
poi tornare all'immenso
nutrirsi
di vita — clamore e frastuono
/Clamore
e frastuono ovattati
in
questo macina-giorni
di
stanza imbottita/
Il
pianto, il disperare:
è
come lanciare un richiamo
da
una stanza imbottita
al
clamore e frastuono dei giorni.
cammina
e si scontra la gente
non
ne resta niente
di
questo continuo incrociare
destini,
causali d'enormi sistemi variabili — —
-
eppure, io so che vedendoti
grande
assoluto dogma/parola
potremmo
tremare tutti
ad
ogni contatto di foglia o passo di gatto:
allora
il piangere forte
dentro
le stanze
verrebbe
a formare preghiera,
il
canto ancestrale
/e
la solitudine benzina forte
a
invocazioni disperate/
— Vieni
bambino, non c'è la mamma;
ecco
per te una grande coperta.
Senti
il profumo di latte e biscotti?
Va
tutto bene.
Metto
un cartone, vuoi Fantasia,
il
Re Leone?
Non
disperare, ti abituerai.
Ti
nutrirai il petto
di
sensazioni del mondo.
Amerai
il sole, piangerai il mare [...]
— ditegli
che non è solo, gridate!
se
superasse il suono le mura
sarebbe
salvo, redento!
Avrebbe
spavento, sarebbe un abbraccio
e
poi la visione (?)
(Poesia
ti chiamano tale
ché
scuoti e fai piangere)
si
muta il male
in
meraviglia di vivere: —
—
Fu
che quand'era bambino,
anche
allora era solo.
Solo,
anima e corpo:
vera
solitudine fatta carne.
—
Crebbe
e conobbe più mondo,
ma
era cosa a sé stante,
la
casa, il suo és /
le
cose di fuori.
—
Passarono
anni e anni
prima
che intravedesse
il
mondo dai suoi occhi bambini.
Ma
cosa vedeva cos'era?
—
Fu
un giorno che scosso
si
accorse della meraviglia
— commosso
—
non
fonte di luce
ma
vita vissuta
parole
gesti persone
— Parola
poesia rinvenuta —
in
conversazioni di sensazioni
e
il filo del comunicare dalle solitudini
fu
compagnia.
Tramonti
acqua mare
girare
il
mondo
dire
donna mia
come
a ringraziare Dio
andare
via
tornare
imparare.
Accettare
un giorno di morire.
* * *
POST
APOCALISSE
E
ora che la polvere brezza di rovine ci passa
io
mi chiedo
di
essere più duro, farmi scoglio
e
contrastare i marosi
per
il mio amore di uomo
sparso
in terra, arso in petto
e
scritto a penna,
per
i rimorsi e le ferite che mi sono ancora linfa,
per
poter incalzare il cappello
un
giorno,
e
girarmi e andare via
da
qualcosa.
Erminio Alberti, classe 1987, vive e
studia a Catania. Si interessa di musica, cinema e letteratura, e ha
realizzato alcuni spettacoli di musica e poesia all'interno di eventi svolti presso la
facoltà di Lettere e Filosofia di Catania. Nel 2012 ha diretto,
scritto e interpretato, insieme al collettivo “Band Sans Art”, il
cortometraggio “Nel nome del Madre”.
Di prossima pubblicazione la sua prima
raccolta di poesie.
Amo molto questi versi, per il loro respiro arioso, la sperimentazione sintattica semplice ma efficace che non scade nei vizi dell'avanguardia e conserva un lirismo intatto - quotidiano, quasi-narrativo, eppure mai pateticamente intimistico.
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