Si svegliò di soprassalto, Beatrice, tutta sudata, palpitante e impaurita.Guardò la sveglia affianco a lei, sul comodino. Le due di notte.
Barcollando si diresse verso il bagno. Accese le luci dello specchio sopra il lavabo e iniziò a guardarsi dritto negli occhi, profondi, nocciola, pieni di ricordi e di sofferenza.
“ Auguri” sussurò tra sé e sé, sfiorandosi il volto solcato da morbide rughe che le ricordavano che aveva appena compiuto sessant’anni.
La durata ideale di un film è novanta minuti….ma quant’è la durata ideale di una vita?
Quante cose devono e possono succedere?
E quanti momenti morti, quanto tempo che non si può riavvolgere.
Beatrice iniziò a vagare nel suo appartamento, vuoto, silenzioso. Vuoto senza persone s’intende, di oggetti e ricordi ne era pieno. L’armadio ancora stracolmo di vecchi vestiti del marito, fuggito vent’anni prima con una troietta qualunque. Fotografie dei due figli che ormai non vedeva da chissà quanto tempo; Jacopo se l’era portato via la moto, Caterina un omaccione nerboruto che l’aveva convinta a convertirsi all’islam, rinnegare la sua famiglia e scappare chissà dove, forse in un qualche paese in guerra in medio oriente.
In quella casa aveva passato la maggior parte della sua vita, uno spazioso appartamento all’ultimo piano di un condominio color mattone di una periferia qualsiasi, così impersonale all’esterno, troppo personale all’interno.
Tisana fumante, si, per rilassarsi. Accese il fornello e dal fornello s’accese una sigaretta, per aspettare. Fumava poco, e meno in casa, ma in fondo a chi importava se fumava di notte una sigaretta nella sua cucina? A nessuno, appunto.
Il lavoro, uno come i tanti che aveva fatto, tra poco le spettava la pensione, forse, ma per fare cosa poi tutto quel tempo libero?
Che poi, se ci pensava, di adulatori ne aveva avuti tanti e ancora qualcuno ce l’aveva, che le sorrideva vedendola passare per strada, al mercato a fare la spesa. Perché era una bella donna, ancora.
Ancora poi….si era sempre abbattuta ecco il suo problema, le mancava la stima per se stessa, la rabbia per aggredire la vita, forse avrebbe dovuto sfruttare il ciclo finchè c’era, mostrare i denti, senza però farsi trasportare dalle emozioni, un po’ come le donne importanti e quelle dei romanzi….padrone del loro destino, fiere che non sottostanno ai comandi dei domatori.
E invece lei cosa aveva fatto?
Beveva la sua tisana ancora turbata dal silenzio della casa, quel silenzio che le parlava, sussurrandole tutti i ricordi per tenerle compagnia. No, no, non le tenevano compagnia, la soffocavano, le toglievano il respiro. La polvere non era perché spolverava spesso. Era la loro presenza, punto.
Era ancora bella, aveva tante passioni, era interessante si può dire, ma non interessava a lei essere interessante, troppo presa dall’ombra del passato, non riusciva a starci, nel presente.
Dai! Dai fuoco a tutto! Brucia la casa, i mobili, le foto, i vestiti e poi bruciati insieme a loro. Ma non poteva, non voleva, voleva ma non ci riusciva.
Cosa poteva fare per non sentirsi più vuota?
Non era vuota, ma cosa ci vuoi fare….anni e anni di solitaria esistenza non si cancellano con monologhi interiori. Serve un “altro”, un’amica, un uomo.
Era bella, una bella donna, avrà avuto sessant’anni suonati ma era bella ( d’altronde, io scrivo che è bella e tu te la immagini bella ….).
La tisana l’aveva bevuta, la sigaretta fumata, la cucina riordinata. Ma la vita l’hai vissuta Beatrice?
Tornò a letto, un letto matrimoniale, sempre fatto a destra, consunto, sfondato e sempre disfatto a sinistra, dove dormiva lei da trentacinque anni. E in quel piccolo buco nascosto nell’universo riuscì finalmente a prendere sonno, ancora tormentata dai sussurri della sua casa silenziosa.
Era bella Beatrice. Ma era tanto che non trombava.
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