Pubblichiamo una poesia di Francesco Accattoli tratta dal libro "La neve nel bicchiere" (Fara, 2011) con la formula del testo poetico accompagnato da un autocommento dell'autore. Accattoli, nella discesa tra i versi approfondita e colloquiante, riconferma la sua capacità di scandagliare il reale, raccogliere segnali, poi ricompattare visioni e suggestioni.
Buona lettura.
ar
Resteremo abbracciati senza nulla dire
se non un cenno al cameriere,
un’altra bottiglia di vernaccia, altro rumore
di sedie spaiate. Ti ho lasciata sulle scale
stamane, ho rincorso lo sbadiglio
dei mosti, il fiato acre delle strade contadine.
E questo è l’unico vestito che ancora non ricorda
voce alcuna delle sere macchiate dal rubino
di un rosso giovane e popolare, oggi s’era detto
di svinare, festa rossa di precetto, omelie
di salvezze, di promesse mantenute.
Creperemo come sempre tra cent’anni,
ricordo - e lo giuro sul mio bicchiere raso -
d’averti visto volare, ho visto il tuo nome volare.
Resteremo
abbracciati
senza nulla da dire, così stanno altri due bevitori
al tavolo vicino alla finestra, girati di schiena,
attenti alla goccia su labbro del bicchiere.
***
Nella primavera del 2009 sono
stato invitato a partecipare al Premio Rabelais, evento che si è consolidato
nel tempo attraverso le colline delle Marche e della Toscana. Al premio si
partecipa scrivendo una poesia legata al mondo del vino. Per la prima volta mi
sono trovato a dover fare i conti con una scrittura a tema. Qualche anno prima
avrei storto il naso: costringere la poesia – pensavo da ragazzo – significa
tarpare le ali all’ispirazione. In quell’occasione, invece, ho avuto la
possibilità di sperimentare una dimensione di scrittura credibile e stimolante.
Oltre ogni aspettativa.
Qualche giorno prima che mi chiamassero dal premio, avevo ascoltato davanti al bar alcuni decani del mio paese raccontare della loro infanzia, dipingendo uno scenario ancestrale, oramai perduto: personaggi felliniani, aneddoti da Dopoguerra, vecchi bevitori incalliti che ogni tanto sparivano dal paese, senza lasciare traccia di sé. Dov’è andato a finire Tizio? I figli l’hanno portato a svinà, a svinare. Nelle nostre colline del Rosso Conero di solito sono le botti ad essere svinate, cioè svuotate dal vino e pulite. Con quell’espressione si voleva intendere la prassi di portare all’ospedale almeno una volta all’anno i vecchi ubriaconi da osteria, per depurare il loro sangue ed il loro fegato, per rimetterli in sesto insomma.
Racconti del passato. Eppure la vita di paese ruota sempre attorno al consumo massivo di alcolici. Non ci sono più le osterie di una volta, ma le abitudini restano, così come certe facce annebbiate il sabato sera, i discorsi e certe euforie strampalate, la solitudine nascosta. Mi è arrivato tutto improvvisamente, non doveva andare a cercare tanto lontano. Davanti agli occhi avevo un’immagine chiara: il salone in legno scuro di una Società Operaia del maceratese dove da poco si era tenuto il pranzo sociale e l’Absinthe di Degas. Il materiale umano invece era quello di sempre, dei bar della zona, delle aziende agricole e dei filari con cui sono tessute le colline marchigiane.
Chi beve vive di eccesso, ricostruisce la realtà mediante voli di fantasia, nella fase crescente tutto è impresa o avventura, tutto è solare, è pieno di speranza. Il primo verso scivola via con un’andatura avvolgente, come avvolgente è l’abbraccio dell’alcol e di quell’intimità che si raggiunge solo frantumando le reciproche timidezze. Ho cercato la sinuosità del ritmo, attraverso l’uso dell’inarcatura e delle vocali aperte (spaiate-scale-stamane-acre-strade). C’è tutta la luce delle mie terre in quelle strade contadine, le stesse che percorrevo da piccolo assieme ai miei genitori, c’è il giorno della festa, quando si potevano indossare i vestiti buoni, vestiti ancora leggeri, dai colori chiari.
La strofa centrale è in verità quella più amara, si sente tutto lo slancio dell’ubriacone cui la vita, l’occasione, la situazione contingente offre la possibilità di attaccarsi al bicchiere, nonostante le promesse mantenute. Quelle che si fanno ai figli, o alle mogli, o ai propri genitori, e che poco hanno a che vedere con i fioretti e le piccole rinunce.
Ecco quindi che arriva l’adynaton, il vino ha preso il sopravvento, ecco i voli pindarici, i voli, giurati sul proprio bicchiere: la certezza della resistenza a tutto e a tutti, alla malattia, alla morte. Sentirsi immortali nonostante la consapevolezza di affondare nella dipendenza e nell’autodistruzione non può non generare un rigurgito di disperazione. L’ultima strofa lascia che l’ubriacone veda se stesso e la sua compagna da fuori, quasi fosse uno spettatore, è la fase calante, il ritorno in sé, il rimorso. Dopo un lungo spazio tipografico il ritmo delle verso si spezza, , un’inarcatura vertiginosa e l’inserimento della preposizione da rispetto al verso iniziale della poesia azzoppa la lettura, la ostacola, la rende dura attraverso l’allitterazione della dentale. La narrazione è lenta, inesorabile nei dettagli, l’attenzione ora è sul vizio, sulla goccia che non va lasciata cadere sul tavolo, contrappasso per una vita forse sprecata, sebbene condivisa con altri vinti - per dirla con Verga - di paese.
Francesco Accattoli
Francesco
Accattoli (1977) è docente di materie letterarie e latino nei licei, con
esperienze sia in Italia che in Spagna. Nel 2002 esce per Stamperia dell’Arancio
il suo primo libro di poesie e prose Come
acqua che riposa… Dal 2003 al 2010 è stato voce e chitarra dei Noa Noa.
Attualmente si dedica al progetto poeticomusicale Fucine
Sonore assieme al poeta Loris Ferri e al chitarrista
Alessandro
Buccioletti. Sue poesie sono incluse in varie antologie (ricordiamo Calpestare l’oblio, a cura di Davide Nota e Fabio Orecchini, e Porta Marina. Viaggio a due nelle Marche, a cura di Massimo Gezzi e Adelelmo Ruggieri) e riviste cartacee e sul web. È stato addetto stampa dell’associazione Coneriana Cult ed ha collaborato a testate giornalistiche cartacee e online. Nel 2009 ha vinto il Premio Rabelais e nel 2010 il concorso Arte Ex Tempore. Con Fara ha pubblicato nel 2007 la silloge Un tramonto sommario, all’interno dell’antologia del Premio Pubblica con Noi. Gestisce con serafica lentezza il blog sequestocosmo.wordpress.com
Buccioletti. Sue poesie sono incluse in varie antologie (ricordiamo Calpestare l’oblio, a cura di Davide Nota e Fabio Orecchini, e Porta Marina. Viaggio a due nelle Marche, a cura di Massimo Gezzi e Adelelmo Ruggieri) e riviste cartacee e sul web. È stato addetto stampa dell’associazione Coneriana Cult ed ha collaborato a testate giornalistiche cartacee e online. Nel 2009 ha vinto il Premio Rabelais e nel 2010 il concorso Arte Ex Tempore. Con Fara ha pubblicato nel 2007 la silloge Un tramonto sommario, all’interno dell’antologia del Premio Pubblica con Noi. Gestisce con serafica lentezza il blog sequestocosmo.wordpress.com
Nessun commento:
Posta un commento