venerdì 27 aprile 2012

"La rosa del Paladino", di Alberto Toso Fei


Dopo il 25 aprile, Festa del Santo Patrono e del Bòcolo a Venezia, Alberto Toso Fei, autore del celebre volume Misteri di Venezia (Studio LT2 Edizioni), ci ha affidato la versione integrale del suo racconto sulla tradizione del bocciolo di rosa nella città di San Marco, apparso a puntate la scorsa settimana sul quotidiano "Il Gazzettino". 






Tradizione veneziana ancora molto rispettata è quella del bòcolo, ovvero del bocciolo di rosa che il 25 aprile – giorno di San Marco – ogni veneziana, giovane o meno giovane che sia, si vede regalare dall’amato. Il bòcolo è il simbolo dell’amore che non ha età, che dura sempre, ed è frequentissimo, in questo giorno, vedere le donne girare per le calli cittadine con questo semplice ma elegante pegno d’amore. Che ha alle spalle (poteva essere altrimenti?) la sua bella leggenda. A dire il vero sarebbero più d’una, ma nessuna può rivaleggiare con quella de…


La rosa del paladino


Viveva a Venezia, quando questa più che una città era ancora un gruppo di isole separate tra loro, Maria Partecipazio, figlia unica di una ricca famiglia che avrebbe – in seguito – dato alla Serenissima un gran numero di dogi. Maria era una ragazza straordinariamente bella; dentro e fuori se, come leggenda tramanda, oltre a due incredibili occhi ardenti (che le avevano meritato il soprannome di Vulcana), la giovane era dotata di molte virtù, tra le quali la riservatezza.
Motivo in più, per gli uomini che si innamoravano di lei, di circonfonderne la figura di un’aura di irraggiungibilità, quasi che la ragazza fosse un dono di natura unico al punto da non sembrare nemmeno umana. Ciò non impediva loro, ovviamente, di innamorarsi perdutamente (e molto umanamente), della donna e dei suoi occhi.
Occhi che la giovane – come tutte le giovani del mondo, di ogni tempo – aveva solo per il suo amato, Tancredi. Un amore ricambiato, a dire il vero. E che grande amore! Di quelli che superano ogni difficoltà, e perfino il tempo. Un amore sbocciato tra i due al primo sguardo, un sentimento di quelli che ti accompagnano una vita intera.
Tancredi, poi, era davvero bello, buono, gentile. Mai volgare, per nulla violento. Ma… (c’è sempre un “ma” nelle belle storie d’amore) il ragazzo faceva il trovatore, il cantastorie; in poche parole era uno spiantato, agli occhi della famiglia, e quindi – vista l’epoca – agli occhi del padre di lei.
Per messer Orso Partecipazio, infatti, quell’unione di anime era solo una seccatura. Figurarsi! Mai e poi mai avrebbe dato in sposa la figlia al primo ragazzotto di passaggio: sì, magari il giovane era anche carino e gentile… ma imparentarsi con un poveraccio non rientrava proprio nei suoi piani. Un buon marito per la sua Maria l’avrebbe trovato lui; e se la signorina non si accontentava, a Venezia non c’era convento che non avrebbe spalancato le porte ad una Partecipazio (magari a seguito di una cospicua donazione). Nessuno avrebbe mai potuto dire nulla: Vulcana sarebbe rimasta onorata e rispettata, come la sua famiglia.
I due giovani, com’è comprensibile, non passavano gran bei momenti, osteggiati come erano: tuttavia il loro sentimento così tormentato li spingeva a cercare con tutte le loro forze una soluzione che permettesse loro di coronare il loro sogno d’amore. Fu Maria che un giorno ebbe l’idea di fare di Tancredi un soldato. Ma non uno qualsiasi: il suo amato sarebbe partito al seguito di Carlo Magno, il difensore della cristianità.
“Conosco il tuo valore – disse al giovane – e sono sicura che combattendo contro i mori potrai trovare in poco tempo la gloria che ripaghi le ambizioni di mio padre. Quanto a me, amore mio, non potrò far altro che aspettare il tuo ritorno. Non potrò mai essere di qualcun altro”. Fu così che Tancredi partì in guerra contro i saraceni. E, armato più dei suoi sentimenti verso la veneziana che l’aspettava a casa che non di spada e scudo, si fece onore davvero! Non c’era battaglia nella quale il ragazzo non si distinguesse per coraggio e valore contro il nemico. In pochi mesi, divenne il terrore dei mori e l’eroe dei cristiani, combattendo fianco a fianco con Orlando, Rinaldo e gli altri paladini.
Ora di lui, cantastorie, erano gli altri menestrelli a tramandare le gesta da una città all’altra, di corte in corte, di paese in paese, raccontando di come – eroe giovinetto venuto dal mare – fosse da solo in grado di contrastare interi eserciti di infedeli. A sentire quelle storie, damigelle e gentildonne di ogni corte e di ogni età languivano inesorabilmente d’amore per il “loro” Tancredi. Figurarsi la Vulcana, quando le voci le giunsero all’orecchio! Era l’innamorata più felice che esistesse sulla faccia della terra; anche i suoi occhi, se possibile, erano più caldi e sfavillanti che mai.
Eh sì, perché la ragazza aveva visto giusto… Messer Partecipazio non stava più nella pelle. Provvedeva lui stesso ad amplificare in città le storie di combattimento di quel grand’uomo, di quell’esemplare di guerriero d’assoluto valore che sarebbe diventato suo genero!
Ma le settimane, i mesi passavano e di Tancredi non vi era più notizia. Poi, d’improvviso, venne finalmente il giorno in cui – dalla Spagna lontana – i paladini di Carlo Magno fecero il loro ingresso a Venezia. Nessuno li aspettava, e questo rese ancora più spontanea e festosa l’accoglienza. Da ogni dove la gente accorreva a vedere i suoi eroi, più vicini oramai agli dei che agli uomini. Erano tutti lì: Orlando, Rinaldo, Grifone, Ruggiero, Aquilante, Brandimarte e gli altri - giovani, bellissimi e terribili – ma Tancredi non era tra loro.
Fu lo stesso Orlando, dopo averla cercata, a raccontare in un breve colloquio a Maria – con la morte nel cuore – la sorte del suo grande amore: Tancredi, l’indimenticabile compagno di tante battaglie, il paladino più valoroso e fiero, il prediletto di Carlo, “Signore dei Franchi che regge il mondo”, era caduto in Spagna. Rimasto isolato nel corso di un cruentissimo combattimento, nel furore della battaglia – pur continuando a far fronte da solo a più di cento saraceni, combattendo come solo lui sapeva fare – alla fine era stato passato da parte a parte da una lancia.
Troppo tardi Orlando era riuscito a farsi spazio tra le urla e il cozzare di armi, tra il sibilare di frecce e il rumore di ossa spezzate: prima di morire Tancredi era riuscito solo a staccare un bocciolo di rosa, bagnato del suo stesso sangue, e a consegnarlo al compagno d’armi perché lo portasse a Venezia, e lo consegnasse in ricordo al suo grande amore.
Vulcana non disse una parola, né proferì verbo nessuno tra quelli che avevano appena ascoltato la storia di Tancredi. La ragazza prese il suo pegno d’amore – rinsecchito – e si ritirò, impietrita dal dolore, nel silenzio delle sue stanze. Nessuno ebbe il coraggio di dire nulla, ma fu chiaro a tutti che la giovane non sarebbe sopravvissuta alla morte del suo amato.
La trovarono più tardi le cameriere, esangue, abbandonata dolcemente sul suo letto, come se dormisse. Maria aveva raggiunto il suo Tancredi. Tra le mani, raccolte sul petto, un bocciolo di rosa, rosso sangue, tornato fresco come se fosse appena stato colto. Era il 25 aprile, che in seguito sarebbe diventato il giorno di San Marco. Da allora a Venezia, tutti gli uomini offrono alla loro donna il bòcolo, simbolo dell’amore che non si spegne, di un sentimento che non conosce il tempo e le età della vita.

Alberto Toso Fei




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