Andrea Checcucci è nato a Brescia nel 1990, luogo e tempo che gli hanno dato svariate opportunità tra cui quella di conoscere molte persone mentre studiava presso il Liceo Scientifico A. Calini; ora frequenta la Facoltà di Economia e Commercio. Lavora con il padre nel settore immobiliare industriale. Gli piace scrivere con la luce e con la penna, gli piace anche mangiare bene e praticare ad intermittenza ogni genere di sport che gli viene proposto. E' appassionato di arte. Cerca di trasmettere agli amici la sua dedizione per il volontariato (pare che l’uomo sia l’unico animale in grado di ridere e sacrificarsi - allo stesso tempo - per un suo simile). Scrive sul giornalino universitario di Brescia
lunedì 24 ottobre 2011
Poesie offuscate. Inediti di Andrea Checcucci
I.
Il mondo non è attento ai profumi
e non è attento neppure ai flutti.
Ho scorto un giorno un immigrato
dipendente di un’azienda di stoccaggio rifiuti
a studiarli, pareva un chimico:
mi rispecchio e sembro lui
nella pozzanghera che ha mille cerchi
distrutti davanti a casa mia
e un giardino, bosco di settembre.
*
II.
Si era sul monte a scrivere,
ma io niente.
Ho scritto molto dopo
e non verità,
mi rinnego in continuazione
non trovando promesse
in quel che mi scrivevo …
mi rincorre l’immagine
segreta di quello che più mi piace
una schiena di donna
e dietro l’ineluttabile muro.
*
III.
Perché non ti ho visto
tra le felci?
Non eri anche tu in quelle spiagge
dove i nuclei si dividono
e si rincontrano
per sparire felici insieme?
Tu dimmi che sei ancora,
salta e allarga le braccia
dimmi che sei qui, vivo
e triste :
non di rado la rana pescatrice
fa lo stesso, esprimendo allegria.
*
IV.
La mia domanda rimane
e ti prego non rispondere
sì: fai così con tutti?
Non ti so resistere,
mi attrai col pensiero
…
ma intanto nello specchio vedo
un uomo che si è ammazzato
e tu non sai niente, non fai niente,
sorridi ma non mi guardi.
*
V.
Ognuno trova la soluzione che può.
Di questo mi parlasti
ci accordammo, e tu bevesti
un caffè.
Io non ricordo
i pazzi hanno stabilito che sono pazzo.
*
VI.
Mi sento come
quello che ha in mano il biglietto
ma non ha capito
per dove.
E si fa un passo avanti.
*
VII.
Avevamo litigato
non ricordo perché
Ma io non sopportavo le tue brioches a colazione
e le tue sigarette
e i tuoi quattro caffè
era stato bello
lungo quanto un anno
dal prato alle discoteche
credo di averti persa lì
ubriaca ad una festa
e guidavi senza cintura
senza fari, col rossetto e rispondevi al cellulare
(avevi già fatto più di un incidente)
certamente io avevo più paura di morire di te
per questo ti scrivevo poesie
ma eri una scoiattola per me
stavi solo facendone scorta
per un tuo letargo insieme a me
(ci guardavamo e capivamo)
mai avvenuto però.
Adesso di te
mi sono rimaste le lettere mai spedite
che cerco di ricordare, non oso aprire
ah, e poi
ho cominciato a fumare sulle brioches
e un insensato bicchierino di caffè.
* * *
Per quanto riguarda queste poesie: qualche delusione e qualche fatto storto le hanno prodotte, quindi non c’è molto da dire se non che si soffre tutti, bisognerebbe fare a turno, ma nessuno segue le regole. Forse a quelli più fortunati è dato di sfogarsi scrivendo, illudendosi così che qualcosa sia stato detto o fatto, tanto prima della fine il tempo sistema tutto e tutti.
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