mercoledì 1 giugno 2011

Wine in progress

Dopo la rottura con Linda sia io che Sara avevamo cercato di tirarlo su, di fargli capire che aveva solo ventisei anni, di ragazze pronte a fare follie per lui ne avrebbe trovate in quantità industriale, era un bel tipo alla fine, era un mix tra l'attore della serie televisiva di Highlander e tra l'ex giocatore del Milan, Rui Costa, con un qualcosa del chitarrista della E Street Band di Springsteen, il suo grande amico Little Steven, ovviamente quando era giovane. Era atletico, occhi scuri e capelli neri come l'inchiostro, carnagione olivastra, poteva essere considerato il classico bel tenebroso, Sara diceva sempre che tra le sue amiche era considerato un figo. Però, il nostro, al momento, era completamente fuori gioco, senza energia se ne stava li in felpa e jeans a sorseggiare vino rosso e vaneggiare alla luna e alle montagne. Dovevo assolutamente fare qualcosa. Tornai in casa, incrociai Sara che mi rivolse uno sguardo interrogativo e lievemente preoccupato, le sorrisi accennando alla figura seduta in terrazzo.
“Capito. Tranquillo tesoro, ti voglio bene”
“Anch'io” le diedi un rapido bacio sulle labbra. Erano morbide e calde, come sempre. Sara aveva delle labbra fantastiche, erano una delle cose che mi avevano colpito di lei all'inizio, quelle e gli splendidi occhi chiari, ah beh si e poi, ovviamente, le tette, scusate ma l'uomo è uomo. Comunque questa è un'altra storia. Mi diressi in cucina, dove recuperai un' intera bottiglia nuova di zecca di ottimo Teroldego, e un bicchiere pulito. Tornai in terrazzo. Stefano era sempre li, quasi non si fosse mosso, solo il bicchiere era vuoto.
Si voltò a guardarmi e fissò lo sguardo interrogativo sulla bottiglia di vino.
“Se devi ridurti uno straccio stasera, tanto vale farlo nel modo giusto...” sorrisi stappando il vino.
“Questa è tutta nostra... ce la fai?” aggiunsi con un sorriso.
Sul volto segnato dalla tristezza, e della malinconia cosmica, si profilò un sorriso sghembo, pallida imitazioni dei soliti sorrisi calorosi del mio amico, ma per quella sera ce lo saremmo fatto bastare.
Il vino scorre, gorgoglia fuori dalla bottiglia e riempie i nostri bicchieri, ed è buono, pastoso, un sorso tira l'altro, un bicchiere tira l'altro e una parola tira l'altra.
Ce la raccontammo per un'ora abbondante, gustando il vino, assaporandolo, ci scaldava l'animo nelle fresca notte montanara che si srotolava minuto dopo minuto. Ormai Stefano era ubriaco perso, e anch'io ero alticcio. Le parole facevano sempre più fatica a comporsi in una qualche frase di senso compiuto, i pensieri avevano perso i loro contorni definiti ed erano diventati vaghi, le sensazioni impossibili da imbrigliare si accavallavano l'una all'altra.
Poi era successo.
Molti amici se ne erano andati, in casa rimanevano solo Sara, e qualche sua amica. Io e Stefano eravamo seduti per terra in terrazzo, perché ad un certo punto a metà bottiglia si era intestardito che voleva ritrovare il contatto con la terra. Ero riuscito a non farlo scendere in giardino a sedersi nell'erba, convincendolo che anche il legno del terrazzo era un materiale naturale, Stefano ci aveva riflettuto un po' e poi aveva acconsentito a sedersi li. Eravamo all'ultimo bicchiere di rosso, schiene appoggiate al muro, sempre di legno, della casa e con lo sguardo perso nel cielo pieno di luminose stelle.
C'era un silenzio quasi innaturale non parlavamo da alcuni minuti, quando era successo.
Prima erano state poche note, suonate sul vecchio pianoforte che Sara aveva in soggiorno. Note lente, sognanti, pure catartiche.
Poi era arrivata la voce.
Dolce, vellutata e lieve, come una carezza sulla testa di un bambino triste, una di quelle che asciuga le lacrime, una di quelle carezze che servono per dirti che tutto andrà bene, che tutto passa, che anche il dolore più forte domani lo sarà un po' meno, e dopodomani ancora meno, una di quelle carezze che servono a spiegarti che la vita è un po' fatta così, che devi stringere i denti e cercare di sorridere.
Ed, infine, c'era stata la canzone, As Tears Go By dei Rolling Stones, un vecchio pezzo degli anni sessanta.
Con la prima strofa sulle parole ...Posso vedere volti sorridenti ma non per me... a Stefano si erano inumiditi gli occhi di un pianto troppo trattenuto.
Con la seconda mentre la dolce voce femminile cantava ...le mie ricchezze non possono comprare ogni cosa, voglio sentire i bambini cantare, ma tutto quello che sento è il rumore della pioggia che cade per terra... Stefano si era voltato verso di me, e nei suoi occhi avevo visto uno sguardo sicuro, aveva capito qualcosa, qualcosa di importante.
E con la terza strofa, era giunta l'accettazione...Sono seduto e guardo i bambini giocare, fare le cose che ho sempre fatto, pensano che siano nuove, mi siedo e guardo come le lacrime rotolano via.

Stefano si era alzato e aveva guardato dentro.
“Chi è?” mi aveva chiesto.
Io avevo buttato un occhio dentro e avevo visto al piano seduta una ragazza, con i capelli castani e gli occhi verdi, carina, dai lineamenti delicati, pelle candida e qualche efelide sul naso.
“Ah, è Angelica...” avevo detto semplicemente.
E un po' cose in quel momento erano cambiate.

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